I lieti giorni del Corona (1)
Diario
semiserio
All’inizio
è bello, assomiglia al sabato mattina: ti alzi dal letto senza sveglia, quando
già c’è il sole fuori, fai colazione con calma, si alzano i tuoi figli
adolescenti, tutto rallentato. Poi accendi i cellulari: lo scoppio delle chat. Siamo
quattro in casa, quindi quattro cellulari, quattro collegamenti con whatsapp.
Due genitori professori, due figli liceali, tutti in casa! Ho contato che solo
per l’attività didattica a distanza abbiamo raggiunto il numero di 40 chat. Io
ho quella ufficiale della scuola attivata il giorno della chiusura di tutti gli
istituti di Italia, quella non ufficiale con la presenza di diversi colleghi,
quella con i colleghi di sostegno, quella con gli alunni della classe che
coordino, almeno tre “dirette” con alcune colleghe di classe, quella con uno
degli alunni che seguo come docente di sostegno, quelle con le due famiglie dei
due ragazzi che seguo, quella con i genitori della classe di mio figlio.
Successivamente arriva tuo figlio: “Papà mi serve il computer… c’è la webcam?” –
Nel portatile sì, ma è il mio!”. Però siamo in stato di emergenza, non posso
appellarmi a proprietà esclusive. Allora il figlio piccolo Giosuè si impossessa
del tuo pc, che finora aveva solo potuto vedere come elemento di arredo della
casa. Dopo circa mezz’ora, me lo ritrovo lì in postazione con la cuffie in videochat
con la sua prof di Italiano e latino, e sembra anche soddisfatto di fare
lezione (oppure è semplicemente soddisfatto che ha potuto toccare il pc del
Padre eternamente vietato, come un novello Adamo che finalmente stende la mano
verso l’albero proibito nell’Eden).
“Quelle
cuffie sono tue e per sempre resteranno tue!”, gli intimo incurante che mi
possa sentire nel microfono online la sua prof e preoccupato che la sua igiene
adolescenziale auricolare (per definizione carente) possa andare ad inquinare
il resto degli inquilini della casa.
Provo
a raccapezzarmi nelle chat, il telefono fuma: c’è il registro elettronico,
Argonext, didup, weschool, webex, classroom, moodle, area fad, i colleghi
chiedono chiarimenti a vicenda, “i ragazzi della quinta non si collegano”, “non
fa l’upload dei documenti”, “usate il forum interattivo”, “io mi trovo bene
direttamente su whatsapp”, "ma il buon vecchio facebook?, "ma dobbiamo firmare", "ma
risultiamo presenti?", "e i ragazzi hanno le credenziali…", "prof, ma io mi chiamo
Deborah con l’h, hanno sbagliato username", stai per urlare, ma arriva David
che urla più di te (ma non più di mia moglie, che dall’inizio dell’epidemia non
fa che urlare ai ragazzi “lavatevi le mani!!!” ispirandosi probabilmente ai
vocalizzi di Aretha Franklin in Think, tanto che l’ultima volta è andato a
lavarsi le mani anche il figlio dei vicini, terrorizzato). Chi è David? È il
mio primo figlio, 17 anni. Solo che David è un autistico ad alto funzionamento:
di fronte al diluvio di informazioni, alla serie di consegne, ai messaggi preoccupati
dei compagni, gli è subentrata una crisi d’ansia, che nel suo caso si manifesta
con urla, lacrime, stereotipie verbali. Calmiamo David allora; la musica calma David
e calma noi. David suona il violino e il pianoforte. Finalmente in questo primo
giorno di didattica a distanza otteniamo il primo successo: il suo prof di
violino gli telefona e con una videochiamata su whatsapp fanno lezione. E la
musica ancora grezza del suo strumento si diffonde nella casa. Ho superato il numero fissato di righe (limite che mi sono autoimposto per questo diario), quindi devo
chiudere… e ho raccontato solo le prime due ore.
Ce
la possiamo fare, penso, riusciremo anche ad avere le credenziali d’accesso ad
otto piattaforme online... per poi, un giorno, dimenticarle tutte.
Maurizio
Colucci
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