giovedì 16 aprile 2020

I lieti giorni del Corona (22)

I lieti giorni del Corona (22)

Diario semiserio

Solo qualcuno lo sa: ogni tanto provo a scrivere anche qualche poesia, qualche verso, quindi ho deciso di dedicare la puntata a questo aspetto più intimo della mia creatività. Credo che uno sguardo da poeta sulla quarantena possa fornire una angolatura diversa. Ovviamente ho i miei grossi limiti in questo settore, ma amo lo stesso mettermi in gioco. Mi ispiro allo stile dell’ultimo Montale, quello di Satura, ma anche il secondo Quasimodo, quello delle poesie di guerra, e pure il primo Bigazzi, il paroliere di Umberto Tozzi, con le vette inarrivabili di Ti Amo tì … Amo (compresa la visione onirica del “guerriero di carta igienica”).
Parto da una immagine, una parola, un suono, pure raccolto dalla vita comune. C’è il senso di solitudine, di alienazione… come un cane randagio, ecco.

Cane randagio, confuso e selvaggio

che cerca qualcosa, forse un villaggio.
Viaggia, controlla, alza lo sguardo,
ma la solitudine in fondo lo rende beffardo

E’ un bell’inizio, l’immagine mi piace, forse la rima un po’ forzata, continuo….

Un’immagine vorresti trovare,
che spieghi, che dissigilli,
che sia una metafora, che ad un lemma somigli.
Forse solo la solitudine,
l’alienazione di esseri che vivono a ritmo,
come lancette comandate da un quarzo,

Suona il telefono! Chi lo prende?”, grido invano, nessuno mi ascolta. Del resto il cordless è proprio qui accanto. Mi sa che tocca a me: “Pronto?”.
Maurizio, perché rispondi tu?”, è la voce di mia suocera, contenta di sentirmi.
Perché qua non risponde nessuno!”, le dico di malanimo.
Lei non intuisce che ho da fare: “Ascolta… a proposito. Qua non funziona il computer. ‘Maccai na cosa e ora mi appare n’autra cosa. È a stissa cosa, ndocu, nto cosu”.
Ora è giusto darvi una breve spiegazione: “ ‘maccai” nel linguaggio di mia suocera sta per cliccare. Lei è una anziana molto informatica, bazzica pc e cellulari con disinvoltura, e ‘macca tutto senza pietà, qualunque link o banner gli appaia davanti. Una volta fatto il danno, telefona al figlio oppure a me. Seconda spiegazione: mia suocera utilizza coso e cosa come termini omnicomprensivi, per indicare un po’ tutto, per gli amanti delle lingue antiche come l’uso della parola latina “res”. Tocca a te poi il grave compito di interpretare. Dopo un poco riesco a liberarmi, intimandole di non ‘maccare più nulla. Le passo mia moglie e io provo a riprendere i miei versi. Si è dileguata l’immagine però, tenterò con qualcos’altro.
Potrei riflettere sulla paura, molto attuale oggi. Ecco.

La paura ci attanaglia,
ci prende, ci sconvolge,
la lingua barbaglia.
È il vero male da fuggire,
il muro in cui s’infrange il divenire,

Mi piace come idea, forse qui la rima è meno forzata, poi quel riferimento colto a Jacopone da Todi, “barbaglia”…

Nicolas Cage… no Richard Gere… quale film? Mel Gibson… no mamma”, è mia moglie che parla.
Dani… devi stare al telefono per forza qui?”, le dico sottovoce. Mi sono piazzato con il portatile in cucina.
Un attimo, quanto mi prendo le pillole”, mi risponde altrettanto piano; “mamma, non ho capito… se mi dici il film… lui faceva il pilota d’aereo. Allora non c’entra Richard Gere!”; vi spiego: mia suocera prova a raccontare a mia moglie cosa ha visto ieri sera. Ma, come sempre, non le viene il nome dell’attore, né il titolo del film e le tracce sulla trama sono molto labili. Però mia moglie non si arrende, sembra alla Ruota della Fortuna e non compra nemmeno una vocale.
Volevo scrivere”, le faccio segnale.
Mi fa cenno che sta per uscire dalla stanza: “ah, ho capito! Quello che lui è un pilota e precipita nell’isola deserta. Sì, ce l’ho presente il film… con Harrison Ford!”.
Sei giorni sette notti!”, intervengo io, ormai trascinato nella ricerca del titolo della pellicola.
Chiude la telefonata. Forse ora posso riprendere le mie immagini, i miei versi. Sarà la situazione, ma adesso mi viene in mente l’idea del poeta, della sua incapacità nell’epoca post moderna di dare uno sguardo netto e luminoso sulla realtà, di accontentarsi di piccoli semi di verità da raccogliere faticosamente attraverso l’arte. Sì, ce l’ho…

Cercando qualche spunto

un accenno di pianto
un cuore sconvolto
il lampo blu cobalto.

Sì bello, inizio secco, rapido, ritmo ma senza rime pedanti, e poi l’accenno al lampo sa tanto di futurismo….

Di nuovo il telefono? Ma non è possibile! E nessuno lo prende. Sarà di nuovo mia suocera, chiama dalle cinque alle sei volte al giorno, ma due tre telefonate sono sempre ravvicinate, perché magari ha dimenticato qualcosa da dire nella chiamata precedente. Mia moglie ha lasciato il cordless accanto a me: “Pronto?”.
Ma perché rispondi di nuovo tu? Che fanno i figghi?”.
E sono di là a giocare e non sentono..”, le dico rapidamente, provando a non dimenticare l’ispirazione poetica.
Volete pesce? Glielo ordino e poi vai a prenderlo…”
Non lo so, Nina… aspetta. Danielaaaaa! È di nuovo tua mamma… vogliamo pesce?”.
Passamela… eh mamma, c’è pesce? Cosa?”, decide nuovamente di fermarsi in cucina a discutere delle varietà ittiche.
Io cerco di resistere, immagino versi, immagino poeti come cantori greci, passare di casa in casa con la musica della lira che accompagna la loro voce...
Spigole… no, acciughe… quelli corti che si aprono in due… orata… ma che pesce è?!”, Daniela annaspa con i suoi tentativi.
Dall’altro lato del filo mia suocera prova a descrivere cosa c’è sul banco del pescivendolo.
I sauri… sì, mamma, quelli sono i sauri. Ok… quali altri?”, ormai Daniela è diventata un genio, è la campionessa mondiale di “Trova la parola”; “no, quelli piccoli… e le acciughe, l’avevo già detto!”, tra l’altro si arrabbia, come se fosse veramente al quiz.
Tutte i concetti poetici ormai sono svaniti, vedo solo un effluvio di idee indecifrate, dadaiste, attori di Hollywood che vendono pesce agli angoli delle strade, ammiccando a mia moglie, pesano sauri e acciughe su bilance false, e mia suocera vestita da Mike Bongiorno ci chiede di indovinare la frase della puntata odierna.
Dovrò ricominciare tutto daccapo, magari riparto dalla nostra vita quotidiana, questo è il massimo che mi viene: chiedo scusa in anticipo ai cultori della materia.

Lavatevi le mani”, grida la madre
e corrono i figli terrorizzati,
il coniuge assorto nei suoi pensieri
in gola sente il cuore per la paura.
Urlo di guerra, rullare di tuono,
squarcia la quiete della città silente,
manca il sapone, è proprio finito”,
lamenta il mio io sottomesso alla donna,
non ti arrabbiare, tu stai calmina,
c’è qui sul lavello un po’ di amuchina”.

Maurizio Colucci




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