sabato 18 aprile 2020

I lieti giorni del Corona (23)

I lieti giorni del Corona (23)

Diario semiserio

Continuo con il dizionario della quarantena, interrotto da improbabili passioni poetiche. Eravamo arrivati alla lettera C. Proseguiamo, sperando che trovino il vaccino prima che io arrivi alla Z.
D come DPCM. Lo so che tutti vi aspettavate da me che mettessi la mitica DAD, didattica a distanza. Ma c’è una parola, anzi un acronimo ancora più importante. Esatto! DPCM. Tutti sappiamo cosa significhi… beh tutti, molti sappiamo cosa voglia dire! Molti, insomma…. Diversi cittadini conoscono la sigla DPCM. Vabbè, alcuni lo sanno… non proprio alcuni… Cioè, se proprio vogliamo essere pignoli: ma che m…. mi sta a significare DPCM? Se andate su Google e scrivete “cosa significa”, se aggiungete la D, apparirà in riempimento automatico la scritta “cosa significa DPCM”, segno che tre quarti della popolazione italiana si sarà arrovellata in questa ricerca semantico burocratica. Tecnicamente sta per Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ora potrei dilungarmi sulla valenza giuridica di tale strumento, sui suoi limiti e sulla integrazione con le altre norme dello Stato in chiave di analisi delle fonti del diritto. Ma mi sono annoiato già io mentre scrivo questo preambolo, peggio di una canzone di Amedeo Minghi (non me ne voglia il maestro…). Comunque per i più, e soprattutto per le più, DPCM significa Decreto del Presidente Conte Machoman. Ma che gli fa alle donne questo qui! Uno sguardo, un ciuffo, due commi bis e sono tutte ai suoi piedi adoranti. Bei tempi quando anche io avevo quel ciuffo (ho le foto a perenne testimonianza, per chi non ci crede!)
E come Estate. Diciamocelo: tutti speriamo nell’arrivo della bella stagione, di poter tornare al mare, di poter stare finalmente all’aria aperta. Qualcuno ha pensato a farci stare in spiaggia in sicurezza, isolati da box di plexiglass, idea straordinaria! Ci rosoliamo bene, ad uso microonde; poi appena l’epidermide è bella rosolata, aggiungere un po’ di salvia e rosmarino ed immergere nell’acqua di mare (quindi non è necessario metterci il sale per la cottura, c’è già nell’acqua). Mi sorge una domanda a tal proposito: ma se vado nella spiaggia libera, i pannelli di plexiglass me li devo portare da casa? Ora, voi penserete, dalla mia ironia precedente, che io sia contrario alla proposta. Nient’affatto. Io amo lo spazio quando sono al mare, il mio ideale è il bagnante eremita, al massimo con la famiglia e pochissimi amici non rumorosi. Purtroppo, quando arriva agosto, gli assembramenti famigerati aumentano. Dove vado io, la spiaggia è frequentata anche da tribù di Mao Mao, o Mohicani. Scusate, non vorrei essere offensivo nei confronti di questi nobili popoli, correggo. Assomigliano più agli Unni, ma nella versione del noto film di autore “Attila, flagello di Dio”, di Diego Abatantuono, in una delle sue interpretazioni più riuscite. Senza divagare troppo, questa massa composita di individui scende, come si suol dire, in spiaggia, non rispettando né la distanza sociale, né la distanza di sopravvivenza minima, accostandosi al tuo ombrellone, con tutto il campionario di sedie pieghevoli, coccodrilli gonfiabili, radioline con ritmi caraibici e reggaeton ogni tre minuti (il reggaeton ci ha francamente sfracellato le gonadi maschili!), e soprattutto parlano, a voce alta, e tu pensi che l’ignoranza possa materializzarsi come i gabbiani sulle onde del mare. “Che ne sai. Questa me la paga!”, esordisce una tizia con microcostume e macroadipe, con tatuaggio di ordinanza sulla schiena in basso del tipo Daisy farfallina (non ho mai capito se Daisy sia lei, oppure la figlia di tre anni che pesa già 58 chili, forse perché consuma le infanti mandibole senza interruzione su mucchi corposi di gocciole; certamente nessuna delle due ha l’aspetto grazioso della farfallina). Continua:Voi non lo sapete, ma questa è colpa della malignitudine delle persone!”.
Tutti le danno ragione, approvando che la gente genericamente è affetta da malignitudine, il sottofondo di reggaeton di Baby K diventa insostenibile, il fumo delle loro sigarette mi raggiunge ed io vorrei tanto intervenire, l’insegnante che ulula dentro di me vorrebbe gridare che non si può dire malignitudine, mai e poi mai, che la parola non esiste, vorrei prendere le loro sigarette e far scoppiare il coccodrillo di plastica gigante che da solo occupa mezza spiaggia, poi prendere la bambina, mangiarle tutte le gocciole e portarla su un isolotto senza cibo fino alla riapertura delle scuole.
Lo spazio a disposizione è terminato, solo due lettere oggi, perdonatemi… la riflessione però è stata utile: devo lasciarvi, ho trovato un’ottima offerta di pannelli di plexiglass su Amazon. Credo proprio che li acquisterò.

Maurizio Colucci




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