giovedì 30 aprile 2020

I lieti giorni del Corona (27)

I lieti giorni del Corona (27)

Diario semiserio

Prosegue il dizionario della quarantena, altro che Accademia della Crusca, altro che Oxford College! È qui che scaviamo il senso profondo delle parole, che ne traiamo il loro valore intrinseco, che impieghiamo lo scorrere del “cronos” estrapolando concetti universali percepiti nel loro materialità e nelle loro conseguenze esistenziali… che sarebbe a dire: siccome ci avanza del tempo, cazzeggiamo un po’. Eravamo arrivati alla lettera H. Procediamo.
I come Igiene. Per quanto riguarda la lettera I e il suo lemma associato, rimandiamo alla lettera L.
L come “Lavatevi le mani!!!”. Chi segue questo diario strampalato ha già sentito materialmente (lo avete letto, però lo so, chi conosce mia moglie, ha avuto la chiara sensazione di sentirlo…) l’urlo di battaglia di Daniela, il grido della quarantena, la sua incitazione alla resistenza. Devo essere sincero: sarà che abbiamo valicato il limite dei quaranta giorni, sarà l’abitudine, sarà che ci stiamo addestrando, sarà quel che sarà (come declamava la giovane profetessa Tiziana Rivale), ma ho la vaga impressione che mia moglie abbia diminuito un po’ l’intensità dei decibel. Adesso parte piano, come un canto leggero, quasi un recitativo, e i ragazzi le fanno eco (o il verso, decidete voi). Forse è perché la pelle inizia a squamarsi, oppure perché la bolletta dell’acqua non è stata sospesa, forse è solo stanchezza, ma la signora urla di meno. Che sia entrata anche lei nella fase 2? Lavatevi le mani, certo, ma con dolcezza, con sobrietà… Amore, torna a lottare insieme a noi, abbiamo bisogno delle due doti vocali. Adesso con il caldo qualcuno dice che il virus potrebbe attenuarsi, ma altre insidie si preparano all’orizzonte. Avremo bisogno di te, magari cambi il testo, ma potrai sempre gridare: “Lavatevi le ascelle!!!”.
M come mascherina. È uno dei problemi fondamentali. Probabilmente adesso penserete che mi dilunghi sulle varie tipologie, mascherine chirurgiche, ffp2, con filtro, senza filtro, nazionali, di contrabbando, di tessuto, di tessuto non tessuto. Niente di tutto ciò. Anche se, in sincerità, sono mesi che mi arrovello su questo concetto, che più che attinente alla merceologia, mi sembra riguardi la filosofia, e più di preciso l’ontologia: ma che significa tessuto non tessuto? Chi ha fatto il liceo, concorderà con me che tutto ciò ricorda il grande Parmenide e le sue disquisizioni sull’Essere (che nessuno di noi ha mai capito, e penso che non le abbia capite lo stesso Parmenide). Il punto, comunque, non è questo, ma un altro molto più importante: come si indossa la mascherina? Ci sono dibattiti in corso tra me e mia moglie. Qual è la parte di sotto, della bocca? Qual è quella del naso? Quale parte va sull’esterno e quale sull’interno? A voi sembrerà facile tutto ciò. Ma io ho serie difficoltà (chi ha seguito le puntate precedenti potrà ormai fare una diagnosi sulla mia serie di disturbi, disagi, o addirittura patologie). Mia moglie mi ferma ogni volta davanti alla porta di casa: “Stai uscendo con la mascherina al contrario! Quello è il lato esterno, non vedi la cucitura? Si capisce da sé….”, risponde alle mie timide obiezioni; per me è tutta uguale.
Girala!”, prosegue (ogni tanto ritorna il tono di “lavatevi le mani”) “Non vedi che la parte del naso l’hai messa sul mento? Ma sei sempre tu...”.
Provo a protestare timidamente, ma poi mi ricordo che io sono quello che stavo portando all’asilo mio figlio David con le ciabatte… cioè, con una sola ciabatta ai piedi; l’altro piede era coperto esclusivamente dalla calza. Fortunatamente me ne sono reso conto davanti al portone e ho rimediato alle calzature del bambino (e a un mio ricovero coatto in neurologia) immediatamente. La stessa cosa purtroppo non mi è riuscita qualche anno dopo, quando sempre David a otto anni uscì di casa con indosso le scarpe di suo fratello Giosuè, di cinque anni. Il bambino parlava poco, per i suoi noti problemi, però allora riuscì ad esprimersi chiaramente per diverse volte durante la giornata: “mi fanno male i piedi, mi fanno male i piedi”. Quando tornò mia moglie dal lavoro, fu svelato l’arcano: praticamente fu un miracolo che non si deformò il piede in maniera irrimediabile. Fui accusato dell’accaduto; provai a scaricare la cosa su Daniela: “Ma tu perché compri loro le scarpe dello stesso modello e dello stesso colore?”.
Una difesa fallimentare, perché era evidente che una scarpa fosse più piccola dell’altra. Quindi, con questi precedenti (penali?), come posso obiettare qualcosa a mia moglie su come si indossano le mascherine? Accetto l’umiliazione quotidiana, ormai è un rito, mi ferma davanti alla porta di casa per il controllo. Voglio avvisare però la cittadinanza e i lettori che ancora non mi hanno abbandonato, che i guanti monouso li so mettere da solo: cinque sono le dita, è difficile sbagliare per fortuna!

Maurizio Colucci

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