domenica 10 maggio 2020

I lieti giorni del Corona (31)

I lieti giorni del Corona (31)

Diario semiserio

Oggi, festa della Mamma, è normale dilungarsi in un momento di nostalgia: il pranzo domenicale a casa dei miei, ormai è un ricordo lontano dei primi di marzo, il raduno della Regina della Domenica, come la chiama mio figlio David. Adesso siamo arrivati a quota venti partecipanti e i posti sono mescolati, tra nipoti grandi, piccoli e neonati. Ma quando eravamo di meno, diversi anni fa, il mio posto a tavola, rigorosamente da quando sono nato, era accanto a lei, la Madre. Ciò deponeva a mio sfavore, perché quando mangiavi, e mangi accanto a mia madre, hai la sensazione di essere sul Titanic già colpito dall’iceberg e in caduta verticale negli abissi dell’Oceano Atlantico.
Mia madre infatti possiede la capacità di servire a tavola, cucinare, mangiare, bere e discutere sull’argomento del giorno, interrompendo e sovrastando i discorsi degli altri convitati, tutto contemporaneamente (qualche volta parla pure al telefono).
Quando ero accanto a lei, mangiavo sì, ma non so cosa; non per ripetere lo stesso concetto, ma ci si sente in balia delle onde dello Stretto di Messina con il mare forza otto.
Mentre cerchi di addentare un involtino, spunta lei “e mangia pure questo”, mostrandoti mezzo chilo di costata di maiale.
Non ne voglio, è assai”, intendo difendermi invano, anche perché in un istante il mezzo chilo di suino defunto e cotto porta il caos nel mio piatto. È la volta poi di mia moglie che sta seduta accanto a me, quindi io mi trovo a stare nel mezzo tra le due.
Tieni , mangia questo che a te piace”, dove questo sarebbe un pesce arrostito adatto più all’acquario di Genova che ad un piatto casalingo. Mia moglie oppone una resistenza strenua e convincente, con il risultato che il pesce fa un tira e molla davanti al mio piatto, io tento d’inforchettare qualcosa, ma per poco non infilzo l’orologio di mia madre che intinge pienamente nel mio piatto. Intanto il pesce sgocciola sulla mia camicia appena lavata, l’olio raggiunge il mio bicchiere, mia moglie resiste ancora di più, mia madre si protende verso di lei sovrastandomi con la sua mole, io sudo rassegnato.
Il pesce alla fine ritorna nella teglia, pronto per il secondo assalto, diretto questa volta proprio a me. Nel frattempo mia madre cerca il telefono portatile, si alza dal posto, inizia a gridare, lo trova, si risiede, mi batte sulla spalla ripetutamente “hai il numero di Tizio… magari hai quello di Caio, chiamiamo lui e ci dà il numero di Tizio… ma no! Dovevamo telefonare a Sempronio”.
Mio padre tenta di obiettare che stiamo mangiando, che non c’è alcuna premura, che la telefonata si può benissimo rinviare, che magari a quell’ora si disturba, ma lei imperterrita ha già fatto il numero.
Non sente bene al telefono e quindi urla, noi aumentiamo il tono della voce per proseguire la discussione, e mentre ho uno scambio di idee con mio fratello, il pesce di prima giunge nel mio piatto già spinato e condito. Io mangio senza farci caso, però nel mio stomaco il suino di cui sopra si ribella alla presenza delle specie marina. Ciò genera una prima sensazione di capogiro.
Aspetta che ti cambio il piatto”, mia madre si rivolge gentile ma determinata verso mia moglie.
Ma non ce n’è bisogno”, protesta timidamente.
Ma come? Mangi nel piatto sporco di sugo?”, le dice alzandosi nuovamente dalla sedia, andando verso la lavastoviglie, facendo un gran fracasso, con la conclusione che un colpo di piatto mi provoca un taglio nel sopracciglio, quasi come un pugile alla settima ripresa. Il dolore è insopportabile, per poco non sanguino, ma il segno lasciato dal bordo decorato si nota vistosamente.
Ti sei fatto male, gioia della mamma!”.
Tu che pensi…”, le rispondo sarcastico ma annebbiato, come in attesa di un gong che mi liberi da quel terribile round di boxe.
Ti prendo il ghiaccio”.
Ma non prendere niente, ora mi passa”.
E in men che non si dica, la trovi là in piedi di fronte a me che mi applica la borsa di ghiaccio sull’occhio, torturando mio padre con la richiesta di una pomata; pomata che applicherà sul sopracciglio con l’attenzione che può avere una persona che sta portando contemporaneamente la frutta in tavola e la sta scegliendo per sé e per tutti i convitati, con il risultato che l’applicazione mi causa maggiore dolore.
Mangiati l’arancia, ti fa bene, sono buonissime”.
Ormai KO accetto qualunque cosa mi si ponga davanti, mi nutro senza protestare, può essere che il piatto abbia colpito i centri del sonno e quindi la mia forza di volontà è scomparsa, lasciando il posto ad una fastidiosa emicrania con l’aggiunta di pesantezza allo stomaco, tipico di chi barcolla per ore sui traghetti.
Ma è inutile lamentarsi; come dice il detto: la mamma è sempre la mamma! D’altronde, è anche vero che ormai per pranzare a casa dei miei genitori è obbligatorio stipulare un’assicurazione per gli infortuni domestici… ed è consigliato l’uso del casco.

Maurizio Colucci

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